Quando il gruppo aveva imboccato il sentiero che saliva al picco di Antrolucente, nessuno dei compagni avrebbe potuto immaginare un epilogo così funesto. La resistenza dei difensori orchi all’ingresso della fortezza era stata più tenace del previsto, ma infine, oltrepassato di slancio un pericolante ponte di corde, sotto il tiro degli arcieri nemici, i compagni erano riusciti a penetrare fin dentro la sala principale. Qui, tuttavia, il loro slancio era stato bruscamente arrestato dal Grande Ulfe, il leader degli orchi, che li attendeva attorniato dai suoi migliori guerrieri e dal fedele lupo gigante Fenrir. Nel terribile scontro che ne era seguito, Pfoffo e Tzortzz erano rimasti uccisi e gli altri compagni, ormai sul punto di soccombere, erano stati salvati solo dal perentorio intervento di Raba, fin lì attardatosi nelle retrovie, che in preda alla cieca furia barbarica aveva fatto strage dei nemici per poi cadere anch’egli esausto e morente, ricoperto dal suo stesso sangue.
La triste sorte occorsa ai suoi compagni, indusse Ayra a rivalutare la scelta che l’aveva portata a diventare un’avventuriera. Inizialmente non aveva davvero considerato il fatto che nel corso di un’avventura si potesse addirittura anche morire. Il mondo che la circondava, seppur costellato di mostri e pericoli tremendi, non le era mai sembrato veramente del tutto ostile. In qualche modo, si era sempre sentita come l’eroe di una storia a lieto fine che, qualsiasi cosa possa accadere, alla fine trova sempre un fedele alleato nel creatore della storia.
Stavolta, invece, la cruda realtà della vita dell’avventuriero l’aveva colpita ancor più duramente che le spade e le mazze degli orchi guidati dal Grande Ulfe. Quelle, infatti, le avevano inflitto delle ferite che sarebbero presto guarite con l’intervento della magia o attraverso rimedi naturali, mentre l’altra aveva affondato il morso nel profondo della sua anima procurandole un danno che poteva essere curato soltanto trovando la forza ed il coraggio di guardare avanti. Ayra, tuttavia, adesso si interrogava se mai li avesse posseduti o se si fosse semplicemente ingannata di possederli. Due dei suoi compagni erano infatti morti, brutalmente uccisi da umanoidi malvagi dediti alla violenza; gli altri, tra cui lei stessa, erano assai malconci e quasi impossibilitati ad andare avanti, con un sotterraneo intero ancora tutto da esplorare e molto probabilmente affollato di creature altrettanto malvagie. E questo in cambio di che cosa?
“Esperienza”, sentenziò Tibidì come in risposta alla muta domanda di Ayra. “Non ne abbiamo a sufficienza per affrontare sfide come questa. Avremmo dovuto immaginare che con un’arma lunga, quell’ogre ci avrebbe messo in seria difficoltà”.
Era vero. L’unica motivazione che spinge un avventuriero a rischiare la propria vita in sfide mortali, è solo quella di accumulare esperienza, per acquisire nuove competenze o conoscenze, da impiegare in sfide sempre più mortali, con in palio un sempre maggiore patrimonio d’esperienza. In questa spirale virtuosa verso l’alto, tuttavia, ogni avventuriero persegue un proprio cammino per distinguersi in modo indelebile da tutti gli altri e assurgere veramente al rango di “eroe”, “mito” o addirittura “divinità”. Naturalmente, non sono molti quelli che ce la fanno. La maggior parte si ferma dopo aver fatto poca strada e sono pochissimi quelli che arrivano almeno a metà del percorso. La durezza della vita da avventuriero, infatti, non è tanto quella di sopportare l’ingombro dell’armatura o misurare l’area di effetto degli incantesimi. E non è neanche quella di dover sopportare, praticamente all’apertura di ogni porta, di essere sul punto di mettere a repentaglio la propria vita, sanità mentale, fede religiosa, integrità morale o forse peggio.
La vera difficoltà, per un avventuriero, è quella di mantenere sempre lo stesso desiderio di andare avanti, oltre la prossima stanza, disinnescando la prossima trappola, affrontando il prossimo mostro, concludendo la prossima cerca. E ogni volta portandosi dietro gli stessi compagni della volta precedente con i loro pregi, ma anche con i loro immancabili difetti: il chierico egoista che cura solo se stesso, il ladro sfortunato che non è di aiuto al gruppo, il guerriero orgoglioso che alla fine non combatte ed il mago arrogante che manda avanti gli altri. Questi compagni, tuttavia, sono gli stessi con cui l’avventuriero condivide i bivacchi nelle terre selvagge o le tavolate nelle taverne, scambia racconti durante i lunghi viaggi di collegamento tra un’avventura e l’altra, e ride del mondo, a volte bizzarro, che li circonda.
Ayra non era sicura di avere dentro di sé la forza necessaria per andare avanti, né sembravano trasmettergliela i suoi compagni che a volte mostravano evidenti segni di stanchezza. Dopo aver risanato alla meglio le ferite, infatti, il gruppo si era stancamente inoltrato in Antrolucente esplorandone ogni anfratto senza troppa convinzione fino ad imbattersi in un drago nero che recentemente si era stabilito su un isolotto affiorante dal lago sotterraneo che si stendeva al livello più profondo della montagna.
“Finalmente un drago!” si era detta Ayra eccitata. Quale avventuriero avrebbe potuto chiamarsi tale senza aver combattuto con uno di questi magici rettili? Si raccontava che fossero le creature più potenti al mondo, in grado di distruggere un essere vivente grazie al loro letale soffio, fatto non soltanto di fuoco, a detta di molti. Era noto, infatti, che alcuni draghi sputassero ghiaccio, altri acido e altri ancora gas velenosi. Quello che adesso si trovava di fronte a lei, non sembrava troppo grande di conseguenza doveva aver da poco iniziato a raccogliere il suo tesoro.
Di colore nero come la notte, il drago era terribile, ma al tempo stesso bellissimo. Il suo corpo guizzava velocissimo e la sua coda sferzava l’aria mentre in volo attraversava lo spazio che lo separava dalla terraferma. A metà strada emise un rabbioso ruggito, quindi Ayra udì come un forte gorgoglio d’acqua mentre il drago le si librava sopra. Accanto a lei, Def Hunter, vantandosi di aver ucciso in passato una di queste bestie con un colpo solo, aveva estratto l’arco e stava prendendo accuratamente di mira la testa del drago. Gli altri le stavano gridando di allontanarsi, ma non ne ebbe il tempo. Il drago spalancò le fauci e riversò su di lei un torrente di saliva fumante che le sciolse l’armatura, i vestiti e la pelle di dosso. Con ultimo sguardo, prima che l’occhio le fuoriuscisse dall’orbita, vide Def Hunter accartocciarsi al suolo, anch’egli irrorato dello stesso corrosivo liquido e, spirando, pensò: “Proprio una gran bella esperienza…”.
***
“Dunque, questo significa morire”, disse Ayra sollevandosi sulla schiena.
“Questo significa Resurrezione Integrale, mia cara”, le rispose un vecchio sacerdote sorridente che le stava di fianco.
“E considerato che ce ne servono quattro, significa anche un mucchio di monete d’oro da devolvere al tempio”, esclamò nervosamente Tibidi.
Guardandosi intorno, Ayra vide che si trovava distesa su un altare di marmo, circondata da candele ed incensi che rischiaravano appena l’oscurità circostante.
Oltre al vecchio sacerdote, intorno a lei si trovavano Raba e Tibidi in compagnia di altri due personaggi che non aveva mai visto prima. Il primo aveva tratti sia da elfo che da umano ed indossava le vesti di un druido dei boschi, quei solitari individui che preferiscono la compagnia di piante ed animali a quella dei propri simili. L’altro era un umano, per quanto si potesse scorgere dal cappuccio della tunica costantemente tirato su, e mostrava una certa familiarità con le pratiche arcane come denotavano gli strani simboli e le rune che portava un po’ dappertutto. Di fronte allo sguardo interrogativo di Ayra, Raba presentò i due sconosciuti.
“Sono Haus Greg e Lemond Greg, due fratellastri che ci stanno dando una mano a sistemare questo problema delle resurrezioni”.
Dopo essere scampati al drago, infatti, Raba e Tibidi avevano portato i resti degli sfortunati compagni in città dove, per grazia divina, avevano ottenuto di riportarli in vita, a patto però che si fossero dimostrati particolarmente generosi con il locale tempio, perennemente a corto di risorse. La generosità richiesta, tuttavia, era al di là delle possibilità del gruppo e pertanto i due superstiti avevano chiesto ed ottenuto di sottoporsi ad una pericolosa missione da compiere in nome e per conto della divinità cui spettava il costoso miracolo.
La missione consisteva nell’esplorare e ripulire una miniera d’oro infestata da mostri famelici e consentire così agli operai decimati e terrorizzati, il ritorno al prezioso lavoro d’estrazione. Per completarla, tuttavia, occorreva prima rimpinguare le forze del gruppo, anch’esso paurosamente decimato dall’ultima avventura, e così Raba e Tibidi avevano ingaggiato i fratelli Greg, dal canto loro desiderosi di unirsi finalmente ad una vera compagnia di avventurieri dopo aver trascorso anni di apprendistato in gruppi animati da scarse motivazioni.
La scelta si era rivelata da subito ottimale, non soltanto per le capacità combattenti dei due nuovi arrivati, ma anche per la loro dedizione e lealtà nei confronti della compagnia. Dopo aver ripulito la miniera, e avendo raccolto sufficienti fondi solo per resuscitare Def Hunter e Tzortzz, gli avventurieri furono costretti loro malgrado ad accettare una seconda missione da parte del tempio. Questa volta dovevano introdursi nella tomba di un antico e malvagio stregone che si diceva si fosse risvegliato per seminare morte e caos nella regione che circondava il famigerato Picco Bianco, una solitaria montagna già nota a generazioni di avventurieri per aver ospitato in tempi passati Keraptis il lich ed il suo animaletto domestico Dragotha, un drago non morto.
Nonostante le premesse, il gruppo di avventurieri non si perse d’animo e in breve raggiunse il tumulo ove riposava lo stregone conosciuto come Acererak. Le sfide che li attendevano erano di una natura diversa rispetto a quelle cui erano da sempre abituati e che erano pronti a fronteggiare. Nel tumulo di Acererak, infatti, non c’erano mostri in agguato a guardia dei tesori, né clan di semi-umani malvagi più o meno organizzati. Le stanze ed i corridoi che si susseguivano erano disseminati di terribili trappole e misteriosi indovinelli che richiedevano più astuzia che forza, più attenzione che impeto.
Forse proprio la mancanza dei requisiti minimi richiesti dall’avventura provocò nel gruppo ulteriori perdite e magiche trasformazioni: caddero, infatti, dapprima Greg Haus, arso vivo dal suo stesso fratellastro Lemond che, convinto l’altro fosse già morto, aveva scagliato una palla di fuoco per liberarsi dei nemici che lo stavano attaccando; e in seguito Raba, polverizzato dall’esplosione di un bastone magico che mai e poi mai avrebbe dovuto essere spostato dal luogo in cui si trovava. Una sorte meno tragica, ma comunque funesta, toccò infine a Def Hunter che colpito da una maledizione mentre cercava, invano, di rimuovere l’ennesima trappola, si ritrovò trasformato in donna, peraltro di estrema bruttezza.
Per rimediare ai vari inconvenienti accaduti, in particolare per riportare in vita i defunti, il gruppo dovette stipulare ulteriori contratti con i sacerdoti del tempio in Capitale, vedendo così crescere in maniera esponenziale il proprio debito nei loro confronti. Dopo numerosi viaggi avanti e indietro tra il tumulo e la Capitale, gli avventurieri riuscirono infine a distruggere il malvagio Acererak e ad ottenere che anche gli ultimi loro compagni, ovvero Ayra e Pfoffo, potessero beneficiare di una generosa resurrezione integrale.
“E questo è tutto”, terminò Raba.
Ayra l’aveva ascoltato attentamente inorridendo più volte quando il barbaro si era soffermato sui particolari più macabri delle uccisioni dei suoi compagni. Le pareva di annusare nell’aria “l’odore della carne del druido che bruciava” o di udire lo scoppio delle ossa di Raba che “andavano letteralmente in frantumi”. Le dava un po’ di sollievo il fatto che finalmente nel gruppo non fosse più l’unica donna, ma non riusciva a superare il disagio che le procurava vedere Def Hunter alle prese con il suo nuovo corpo.
Forse, tuttavia, la scelta di partire, tanti mesi fa, non era stata quella giusta e adesso cominciava a sentire la nostalgia della sua precedente vita, magari più ordinaria, ma certo meno esposta ai pericoli di quella dell’avventuriero. Le tornò alla mente quella volta in cui, dopo aver lungamente vagato nel labirinto della Tomba di Saithnar, Tibidi si era fermato all’improvviso chiedendo a voce alta:
“Ma voi avete idea del perché siamo qui?”.
Gli altri si erano guardati tra loro incerti, alla ricerca di una risposta che sembrava nessuno si fosse data fino ad allora. La risposta più ovvia sarebbe stata: “Abbiamo seguito una mappa”. Ma c’era stato qualcosa nel tono di voce di Tibidi che ora le suonava come un invito ad interrogarsi sull’opportunità o meno di continuare la vita dell’avventuriera. In fondo la domanda sul “perché” è sempre la più affascinante a cui tentare di rispondere. Il “come”, il “quando” o il “dove” sono aspetti meramente tecnici, mentre il “perché” attiene alla filosofia, alla ricerca della verità e dell’essenza delle cose.
Perché si sceglie di essere avventurieri? C’è chi sicuramente lo fa per denaro o potere e chi per entrambi. Altri ambiscono a combattere ed uccidere mostri il più possibile, convinti che l’unico mostro buono, sia il mostro morto. Altri ancora emulano i grandi eroi della letteratura, ma quasi sempre periscono laddove l’eroe ha invece trionfato.
Ma c’è anche chi lo fa per puro spirito di avventura, per la curiosità di scoprire cosa si nasconde oltre la prossima porta del dungeon, sognando che dietro a quella ve ne sia un’altra e poi un’altra ancora. Non ha importanza se la sfida che lo aspetta può rivelarsi mortale. Per lui è molto peggio appendere definitivamente l’equipaggiamento al chiodo e dover trascorrere il resto della vita a contare le monete d’oro accumulate o a riscuotere le decime dei possedimenti. Per questo, finché ci saranno altri come lui disposti a continuare ad avventurarsi nelle terre selvagge, egli continuerà ad aprire porte e ad affrontare pericoli.
Ayra capì che non avrebbe mai potuto appartenere del tutto a questo mondo. Le sue radici erano altrove, le sue ambizioni erano altre. Prese quindi commiato dai compagni ed intraprese il viaggio di ritorno verso casa. Con lei andò Pfoffo, ufficialmente in veste di guardia del corpo, ma di fatto compagno di vita.
Senza più Pfoffo, non solo veniva meno la casata degli Pzar figli di Knar seguaci di Kord e devoti a Moradin, ma il gruppo salutava anche uno dei Personaggi la cui volontà Giocante era stata tra le più forti di sempre. Prima di imparentarsi con i nani, i suoi predecessori erano stati umani e prima ancora, si dice, addirittura elfi. Pfoffo era l’ultimo esponente di una progenie di eroi che aveva annoverato, tra gli altri, gente del calibro di Ishan Zwingfield o Iffoffo, a cui peraltro il suo nome chiaramente si ispirava. Eroi che, con le loro gesta, avevano riempito pagine e pagine di racconti o erano stati protagonisti di innumerevoli canzoni e storie da taverna. Forse, tuttavia, con il passare da una generazione di schede all’altra, quella volontà Giocante che in origine era stata tanto forte, si era via via dissipata per esaurirsi infine in quella di Pfoffo.
***
Il gruppo, tuttavia, non poteva concedersi il lusso di abbandonarsi alla malinconia. Era giunta voce, infatti, che nella contea di Verbobonc andava riformandosi, per la terza volta, un antico culto votato al Male Elementale, una forza soprannaturale portatrice di caos ed entropia. Nelle altre due precedenti occasioni, il mondo intero si era salvato per un soffio e solo grazie all’intervento di un manipolo di avventurieri che aveva estirpato il male direttamente alla radice: la prima volta rinchiudendo un demone malvagio in una prigione magica; e la seconda distruggendo un tempio eretto dagli adoratori del demone nel tentativo di liberarlo. Ora si dovevano eliminare i seguaci degli adoratori, per il momento impegnati a ricostruire il tempio, ma pronti a riprendere gli sforzi per liberare il demone malvagio. In viaggio per Verbobonc, i compagni già presagivano che presto sarebbero stati incaricati, o indotti, a recitare la parte del terzo manipolo di avventurieri chiamato ad estirpare definitivamente, fino al prossimo risveglio, il Male Elementale.
Questi sono i loro nomi, le loro razze e le loro classi così come furono registrate negli Annali delle Schede:
Raba il Barbaro, il guerriero delle terre selvagge che sa combattere e disegnare le mappe.
TiBiDi, lo stregone con passato da guerriero che lancia dardi incantati e registra ogni tesoro rinvenuto.
Tzorttz, il sacerdote di Corellon che dispensa cure e solleva lo spirito.
Def Hunter, lo scassinatore un po’ sfortunato che cerca trappole e narra le gesta del gruppo.
Greg Haus, il druido alternativo che cambia forma e annota il trascorrere del tempo.
Greg Lemond, il mago che lancia palle di fuoco senza curarsi di chi può subirne le conseguenze e ama controllare le regole.
A questi, ben presto si aggiunse Protto, il nano Derrone, dal forte accento del Tavoliere, che fa strage di nemici e ripulisce gli avanzi.