“Non può finire così”, pensò Ayra con determinazione e, abbandonati i cavalli al loro destino, si mise febbrilmente a cercare un ingresso alternativo alla Torre di Durzh da cui ormai da molte ore non proveniva più alcun suono.
Poco dopo che i suoi compagni erano penetrati all’interno dell’edificio, le erano giunti distintamente i rumori di una battaglia che infuriava all’ultimo piano, ma che, come aveva intuito dalle irriverenti urla di trionfo emesse da Tzortzz mentre scaraventava di sotto il cadavere dell’ultimo nemico ucciso, si sarebbe infine risolta a loro favore. Durante lo scontro, tuttavia, era divampato un incendio che aveva provocato il crollo del tetto e di diversi piani della torre, ma Ayra era convinta che i suoi compagni fossero sopravvissuti poiché li aveva intravisti correre a perdifiato giù per le scale nel tentativo di raggiungere i sotterranei. In seguito aveva percepito dei suoni misteriosi provenire dal sottosuolo, come lo smottare di una gran quantità di terra, quindi il silenzio più assoluto.
Ayra aveva atteso a lungo un segnale che la confortasse sulla sorte dei suoi compagni, ma invano. Poi aveva lottato altrettanto a lungo con i fantasmi di ciò che poteva annidarsi nelle buie stanze della Torre. Infine si era decisa ad entrare perché, come andava ripetendosi per rincuorarsi, “questo è quello che farebbe qualsiasi avventuriero”. Il crollo del soffitto aveva reso impraticabile l’ingresso principale dell’edificio, ma Ayra era certa che da qualche parte nelle vicinanze vi fosse un’entrata secondaria e, con un po’ di fortuna, sarebbe stata sicuramente in grado di individuarla.
Per quanto ricordava delle informazioni raccolte da Tibidi prima di intraprendere la missione, Durzh era stato descritto come un nano paranoico e molto riservato, che aveva dotato la Torre, sua dimora, di tutti gli strumenti possibili per scongiurare le visite di ospiti inattesi e indesiderati. Aveva fama di essere il più grande alchimista della regione, e per questo i nani della fortezza di Dor-dukr si erano rivolti a lui per curare il misterioso morbo che li affliggeva da quando, alcune settimane prima, era transitata di lì una carovana di mercanti proveniente da Passo Duvik. Non avendo tuttavia ricevuto alcuna risposta da Durzh, i nani della fortezza, ormai ridotti allo stremo delle forze, avevano emanato un bando per arruolare avventurieri allo scopo di sollecitare l’alchimista a preparare l’antidoto ed i primi a rispondere all’appello erano stati Ayra ed i suoi compagni, dal canto loro impegnati nell’inseguimento di una carovana di mercanti che si temeva contagiata da una terribile piaga.
Da semplice missione di routine, ottima per spezzare la monotonia di una lunga campagna di avventure, l’incarico loro affidato dai nani, si era invece rivelato una trappola mortale dopo che i compagni, anziché essere accolti da una colonia di ricercatori guidati da un maestro un po’ eccentrico, si erano trovati di fronte una banda di nani dall’aria trasandata e poco raccomandabile intenti a sotterrare dei propri simili caduti, a detta loro, “durante un recente attacco alla Torre da parte di predoni orchi”. Lo scontro era stato cruento e lo stesso Durzh era stato gravemente ferito, ma per fortuna si sarebbe ripreso presto. Se il gruppo voleva conferire con lui sarebbe stato meglio tornare fra alcuni giorni.
“Non possiamo aspettare”, disse Raba. “I nani della fortezza di Dor-dukr moriranno se non torneremo alla svelta con un antidoto. Conduceteci subito da Durzh, forse uno dei nostri chierici sarà in grado di curarlo”.
“Mi rifiuto di toccare un nano”, esclamò inorridito Tzortzz, l’elfo guaritore. “E comunque sono certo che il sommo Corellon non ascolterebbe mai la mia preghiera”.
“Con le dovute precauzioni, invece, io gli elfi li tocco molto volentieri”, ribatté il nano Pfoffo allungando la mano verso l’impugnatura del fido urgrosh.
“Forse non c’è neanche bisogno di scomodare una divinità”, interloquì Tibidi frapponendosi tra i due litigiosi compagni. E, rivolto agli strani nani della fortezza, aggiunse: “Se le ferite non sono troppo gravi, potrebbero essere sufficienti le nostre abilità di esperti avventurieri per rimettere in piedi il vostro padrone”.
Quelli lo guardarono senza rispondere. Era evidente in loro un certo imbarazzo e l’incapacità di prendere una decisione. Alcuni manifestavano già una certa insofferenza verso gli stranieri e si sarebbe giunti presto alle mani se, dalla scalinata che conduceva all’ingresso della torre, non fosse sceso in tutta fretta un nano di aspetto autoritario a placare gli animi.
“Il mio nome è Gnash e sono il capo della guardia di Durzh, l’Alchimista”, si presentò il nuovo venuto. “Mi scuso per il comportamento dei miei uomini, ma da quando siamo stati attaccati dagli orchi prestiamo molta più attenzione nei confronti di qualsiasi estraneo, specie se armato”.
“Scuse accettate, mastro Gnash”, disse Raba. “Ma noi siamo qui per Durzh, non per scatenare guerre”.
“Vorrei aggiungere”, disse Def Hunter materializzandosi improvvisamente dalle ombre, “che siamo qui per salvare da morte certa altri membri della vostra razza. Questo dovrebbe interessarvi, giusto?”.
I nani, spaventati dall’apparizione di Def Hunter, si misero in posizione di combattimento digrignando i denti in modo quasi animalesco, ma Gnash riportò la calma con ordini perentori.
“La sorte dei nostri consanguinei ci è molto a cuore, naturalmente”, rispose Gnash e poi, con lo stesso irremovibile tono che aveva usato verso i suoi uomini, aggiunse: “Seguitemi”.
I compagni si affrettarono ad obbedire scortati da vicino dagli altri nani della guardia.
“Non lasciare che gli orchi ce li divorino”, fu l’ultimo avvertimento che Ayra, rimasta a guardia dei cavalli, ricevette prima che la maestosa porta della torre si richiudesse alle spalle del gruppo.
***
Una volta rotti gli indugi, Ayra non faticò troppo a trovare quello che cercava. A circa un centinaio di metri dalla Torre, infatti, si elevava una strana collinetta di roccia che sembrava tutt’altro che naturale. Girandovi intorno, notò, sulla parete rivolta verso occidente, una robusta finestra che mostrava i segni di un recente scasso. Al suo interno si apriva una piccola stanza disadorna da cui fuoriusciva un corridoio che conduceva verso le fondamenta della torre.
Ayra si incamminò silenziosamente lungo il corridoio fiocamente illuminato da una potente fonte di luce che s’intravedeva in lontananza, ma subito ebbe un’esitazione quando si accorse che non molto tempo prima già qualcun altro aveva percorso quella stessa strada, allora trascinando un corpo gravemente ferito il cui sangue, sgorgato copioso, aveva tracciato una lunga e sinistra scia sul pavimento. Superato tuttavia, l’iniziale l’impulso a voltare la schiena e fuggire, Ayra proseguì decisa fino all’imboccatura della stanza, dove prontamente si acquattò nelle ombre quando udì una voce impartire secchi ordini in lingua nanica.
“Che peccato aver trascurato le lingue”, pensò Ayra con amarezza cercando di soppesare il numero di avversari che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco.
Poi, improvvisamente, dalla stanza si levò un tumulto di grida e richiami d’allarme seguito dallo sferragliare delle armi e da gemiti di dolore. In un primo momento Ayra temette di essere stata scoperta, ma quando in mezzo al frastuono credette di riconoscere le voci dei suoi compagni, si arrischiò a dare una sbirciatina dentro e, con un moto di gioia, comprese di non essersi sbagliata: Def Hunter, Pfoffo, Raba, Tibidi e Tzortzz, infatti, stavano lottando con armi di fortuna contro un gruppo di nani dai tratti animaleschi guidati da un campione della loro razza che brandiva una doppia ascia. Erano coperti di ferite e ammaccature, ma stavano avendo ragione degli avversari che sembravano essere stati colti di sorpresa dall’attacco e ancora non si erano riorganizzati. Dopo pochi istanti di combattimento, fra i nani erano rimasti in piedi soltanto il capo e quello che si faceva chiamare Gnash; dalla parte del gruppo, invece, Def Hunter si era silenziosamente eclissato e Tzortzz era passato nelle retrovie dopo aver ricevuto un colpo più forte degli altri, ma Raba, Tibidi e Pfoffo continuavano a menare fendenti e ad incalzare il nemico ormai alle strette.
Dal suo nascondiglio, Ayra non sapeva se intervenire o aspettare. I suoi compagni sembravano ormai padroni della situazione e nessuno di loro era in evidente pericolo di vita. Se, inaspettatamente, si fosse mostrata avrebbe magari potuto disorientarli con la nefasta conseguenza di renderli più vulnerabili agli attacchi. Per il momento quindi decise di non rivelare la sua presenza, ma per precauzione sfilò l’arco e incoccò una freccia mirando silenziosamente al capo dei malvagi nani.
Intanto, nella stanza il combattimento ormai volgeva al termine e l’epilogo era sempre più a favore dei compagni. Tibidi aveva abbattuto Gnash con un ultimo preciso fendente mentre Raba e Pfoffo avevano infine circondato il capo chiudendogli ogni via di fuga, ma quello sembrava ancora tutt’altro che intenzionato ad arrendersi. Fino a questo momento era riuscito a parare tutti gli attacchi e a rispondere con letale efficacia mettendo fuori combattimento Tzortzz; adesso si apprestava a rivolgersi contro Pfoffo, colpevole di essere “un nano amico degli elfi”.
“Quanto meno non uccido i membri della mia stirpe, infame”, aveva risposto Pfoffo fallendo l’ennesimo affondo.
“Il mio nome è Thorin Barbasangue, insetto”, rispose preparandosi a contrattaccare. “E questo sarà l’ultimo nome che udranno le tue orecchie”, concluse calando l’ascia in un terribile fendente che atterrò Pfoffo e lo lasciò esanime a terra.
A quella vista Ayra lanciò un grido di orrore e lasciò partire la freccia che aveva incoccato nell’arco. Thorin, colto di sorpresa, abbassò la guardia e si voltò verso il corridoio con aria interrogativa.
“Il mio, invece, è Barbaforte”, disse Raba che, sfruttando il momento di distrazione del nano, gli affondò la lama della spada nel fianco proprio mentre la freccia di Ayra gli si conficcava nel cranio perforandogli il cervello e uccidendolo sul colpo.
“Si direbbe un critico”, commentò Tibidi constatando il decesso del nano.
“Anche Pfoffo deve aver subito un critico”, ridacchiò Tzortzz osservando il compagno che giaceva ancora immobile, “ma per la fortuna delle nostre tasche è sempre vivo”.
Dentro di sé Ayra esultò di gioia. Il suo intervento, sebbene impacciato, era stato infine decisivo. Non solo aveva ucciso il capo della banda, ma aveva anche salvato da morte certa uno dei suoi compagni. Convinta di meritarsi il plauso del gruppo, avanzò con incedere eroico attraverso la stanza, ma gli altri, tutti intenti a tamponare le ferite di Pfoffo o a frugare fra i corpi dei caduti alla ricerca di qualcosa di valore, sembrarono per nulla impressionati e molto poco interessati. Avvilita e un po’ offesa, Ayra si sedette in disparte in attesa di ripartire.
***
Più tardi, apprese che, dopo essere sfuggiti per miracolo al crollo del tetto, i compagni avevano imboccato le scale che scendevano nei sotterranei della Torre per cercare una via d’uscita, ma si erano subito trovati di fronte avversari terribili contro i quali le loro armi erano sembrate inefficaci. Dapprima erano stati assaliti da una bizzarra creatura, testa di gallo e corpo di drago, capace di ipnotizzare con lo sguardo, e in seguito avevano dovuto fronteggiare un gigante di terra emerso improvvisamente dal sottosuolo. Infine, sfiniti ed indeboliti, si erano imbattuti nei nani malvagi guidati da Thorin Barbasangue e, pur battendosi eroicamente, erano stati sconfitti e fatti prigionieri. Durante lo scontro, i compagni avevano visto i nani assumere tratti animaleschi che li facevano rassomigliare a dei giganteschi ratti umanoidi, perciò, quando Thorin, con un ghigno beffardo, aveva rivelato loro che presto sarebbero stati sottoposti “alla trasformazione”, essi, temendo di subire la stessa orrenda mutazione, avevano frettolosamente elaborato e messo in atto un disperato piano di fuga. Mentre Thorin, irretito a parlare da Tibidi, raccontava, con estrema dovizia di particolari, come Durzh e tutti i suoi seguaci fossero stati brutalmente uccisi durante l’attacco alla Torre, Def Hunter, sfruttando le sue doti di artista della fuga, era riuscito a liberarsi dalle corde che lo legavano e, non visto, si era subito affrettato a sciogliere quelle dei compagni a lui più vicini. Quando i nani mutanti si erano accorti di quello che stava accadendo, sia Pfoffo che Raba erano già balzati in piedi brandendo armi di fortuna e, urlando selvaggiamente, si erano scagliati contro di loro nel tentativo di coglierli alla sprovvista.
“E questo è tutto”, disse Tibidi terminando il racconto. Poi, con una nota di sarcasmo, aggiunse: “Il resto hai avuto modo di osservarlo da una posizione privilegiata”.
“Sarà meglio che vada ad aiutare gli altri, adesso”, disse Ayra arrossendo per la rabbia e si alzò di scatto per raggiungere coloro che stavano vagliando il bottino rinvenuto nella torre che, a prima vista, sembrava piuttosto considerevole. Oltre ad una gran quantità d’oro, infatti, il gruppo aveva trovato alcuni oggetti interessanti fra cui una spada magica, sulla cui lama era inciso il nome Spezzapunte, e la mappa di un’antica roccaforte nanica conosciuta come Antrolucente (khun-dukr), dimora di uno degli artigiani più famosi della regione, il leggendario Durgeddin.
Con sua somma sorpresa e conseguente notevole gratificazione, fu proprio Ayra ad ottenere la spada, ufficialmente “per l’indomito valore e sprezzo del pericolo”, anche se, come ebbe a sospettare in seguito, solo perché gli altri suoi compagni erano già ben muniti di armi magiche.
La mappa, invece, destò un vivo interesse in Pfoffo, che nel frattempo si era ripreso dalle gravi ferite subite nel corso dell’ultimo combattimento. Egli, infatti, non solo nutriva un profondo e reverenziale rispetto nei confronti di Durgeddin il Fabbro, ma ne impugnava anche una delle impareggiabili armi, l’urgrosh che la sua famiglia si tramandava di padre in figlio da innumerevoli generazioni. Infine, con il cuore colmo di odio, non poteva dimenticare che il leggendario artigiano e tutto il suo clan, custodi di segreti ormai dimenticati, erano stati sterminati da una banda di ignobili orchi che, a quanto si sapeva, ancora oggi ne insozzavano le sale.
Per tutti questi motivi, e per una non meno incentivante propensione all’accumulo di ricchezze, i compagni stabilirono che la loro prossima destinazione sarebbe stata Antrolucente, ma prima dovevano ripassare dalla fortezza nanica di Dor-dukr con quanto erano riusciti a salvare delle pozioni e dei balsami curativi realizzati dal defunto Durzh, nella speranza che fossero sufficienti a curare il morbo che ne affliggeva gli abitanti.
Quando raggiunsero la fortezza, tuttavia, la trovarono, con una certa dose di inconfessabile sollievo, completamente deserta ed abbandonata, eccezion fatta per i morti che ancora giacevano nei loro letti, là dove l’orrendo morbo li aveva alla fine stroncati.
“Beh, possiamo dichiarare conclusa anche questa missione”, disse Tibidi e tracciò una riga sul diario dove annotava tutte le notizie raccolte dai compagni nel corso dei viaggi, disegnava le mappe dei luoghi che visitavano e registrava i tesori rinvenuti o i compensi pattuiti con chi affidava loro gli incarichi.
“Non ci resta dunque che puntare verso Antrolucente”, sospirò Tzortzz che non era molto allettato dall’idea di visitare l’ennesima dimora sotterranea costruita dai nani.
“Finalmente senza pattuire alcun compenso”, esclamò Raba studiando la mappa.
“Né rispettare inderogabili tempistiche”, aggiunse Def Hunter sbadigliando.
“O fingere di avere chissà quali scrupoli morali”, concluse Pfoffo affilando l’urgrosh.
“Perché, le altre volte è stato diverso?”, chiese Ayra con malcelata ironia.
***
Da quando erano partiti per Antrolucente, Pfoffo era diventato più taciturno del solito. Non che questo turbasse il resto della compagnia, anzi. I nani non sono molto famosi per la loro simpatia e hanno la dote innata di dire sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Tuttavia l’atteggiamento di Pfoffo stava rasentando l’alienazione. Non interloquiva con nessuno a meno che non si trattasse della missione che avevano intrapreso e studiava minuziosamente ogni particolare della mappa che avevano rinvenuto, come se volesse imprimersela per sempre nella memoria.
“Te la vuoi scolpire nel cervello, eh? Perché non provi con il martello, fai prima”, lo canzonava Tzortzz; ma neanche le provocazioni di un elfo parevano scuoterlo dal torpore.
“È ossessionato dalla storia di Durgeddin e degli orchi”, osservò Raba. “Vuole assolutamente vendicarlo”.
“Prima però mi piacerebbe sapere quanti ce ne sono là dentro, di orchi”, protestò Def Hunter.
“Venti, cinquanta, cento. Che importanza ha!”, esclamò improvvisamente Pfoffo. “Più sono, più ne uccideremo!”.
“Calma, calma ciccio”, rispose Def Hunter attingendo al gergo dei ladri. “Negli ultimi due mesi sono già trapassato almeno quattro volte”.
“Per due volte sei solo andato in coma”, precisò Tibidi.
“Mi duole ammetterlo, ma per una volta concordo con il nano”, intervenne Tzortzz. E concluse, anch’egli intercalando in gergo: “Se ci facciamo intimorire da una banda di orchetti, per quanto numerosa possa essere, facciamo prima a tornare in capitale”.
Ayra ascoltava, ma non riusciva ad odiare gli orchi con la stessa naturalezza degli altri.
Tutti sanno che la razza degli orchi è malvagia e che ogni avventuriero la considera nemica. Non ci può essere pietà per gli orchi, perché loro non ne avrebbero. Sono sleali, schifosamente promiscui, incolti e antiigienici. Rappresentano l’esatto contrario del senso di civiltà di cui sono portatrici le altre razze, quelle cosiddette semiumane, ossia elfi, nani e mezzosangue, e quindi devono essere combattuti, respinti o contenuti entro i confini delle loro oscure terre.
D’altra parte, nessuno sa chi sia stato all’inizio l’aggressore e chi l’aggredito. Tradizionalmente, gli elfi sono stati i primi a scontrarsi con gli orchi e a tal proposito, le leggende raccontano di uno screzio nato tra le rispettive divinità e cresciuto in odio atavico tra la loro progenie.
Secondo la versione elfica, il crudele Gruumsh avrebbe ferito a tradimento il santo Corellon perché geloso del suo potere ed il sangue di quest’ultimo, ricadendo sul mondo ne avrebbe infranto l’infanzia. Per questo motivo, gli elfi, che di Corellon sono i figli, per la prima volta dal giorno del risveglio, avrebbero conosciuto la tristezza e pianto molte lacrime, mentre il loro sogno di longevità si sarebbe di colpo tramutato nell’incubo di una morte prematura provocata proprio dalla violenta e inaffidabile stirpe di Gruumsh, gli orchi.
Il mito degli orchi, invece, racconta di due fratelli, Gruumsh e Corellon, di cui l’uno era forte, leale e coraggioso e l’altro bello, astuto e fortunato. Gruumsh si fidava del fratello e lo difendeva, ma Corellon alla fine ne approfittò per farlo suo schiavo. Fingendo amicizia, lo aggredì, sfregiandogli il volto e privandolo di un occhio, ma Gruumsh riuscì comunque a fuggire dopo aver reciso, con un colpo di falce, il sesso di Corellon. Dal denso, scuro e rancoroso icore di Gruumsh erano così nati gli orchi, mentre dai resti del membro di Corellon sarebbero sorti gli elfi.
Che si creda all’una o all’altra versione, da allora entrambe le razze si sono macchiate di orrendi crimini nei confronti del nemico e con le loro guerre hanno sconvolto e rischiato di distruggere per sempre il mondo. Il loro odio ha contagiato le altre stirpi, che si sono alleate con gli elfi o con gli orchi a seconda della reciproca affinità e convenienza, e ha corrotto ogni angolo della natura diffondendosi tra tutti gli esseri viventi come un’inarrestabile epidemia.
“Non sarebbe giunto il momento di sedersi ad un tavolo e parlare?”, azzardò Ayra.
“Sciocchezze!”, sbuffò Pfoffo. “Comunque tu la voglia vedere, ragazza, ricorda sempre il motto dei nani: gli orchi sono il male, noi siamo la cura”.
“E sai invece come sono soliti dire gli halfling?”, aggiunse Def Hunter ridacchiando. “Meglio un nano in casa che un orco all’uscio”.
“Gli Elfi Ultras”, intervenne Tzortzz, “ovvero quelli di noi che un tempo presidiavano i confini, solevano issare stendardi che inneggiavano alla violenza contro gli orchi. Ricordo orchi al forno con goblin di contorno, oppure un orco buono, è un orco morto ed il mio preferito: orco è bello, ma con una lancia nel cervello”.
“Per quante volte hanno invaso le vostre terre?”, gli domandò Ayra con interesse, suscitando la disperazione degli altri compagni che, a gesti, la invitavano a non insistere sull’argomento.
“Mai”, rispose l’elfo. Poi, di fronte all’incredulità di Ayra, aggiunse:
“Ogni volta che ci sembravano minacciosi, sferravamo loro un attacco preventivo per scoraggiarli. A volte deportavamo alcune tribù più prolifiche in lande lontane e desolate. Altre volte appoggiavamo qualche leader locale che, pur nella sua insuperabile ignoranza, riconosceva la supremazia della nostra stirpe e non osava irritarci. Ma nonostante tutti i nostri accorgimenti continuavano a premere sui nostri confini e a crescere di numero, finché non fummo noi stessi, amaramente, a decidere di abbandonare quelle che erano state le nostre terre natie per recarci in occidente”.
“Ci risiamo”, mormorò Raba neanche troppo sottovoce. “Si riattacca con La Storia Universale degli Elfi…”.
***
Il racconto di Tzortzz accompagnò tutto il tragitto dei compagni che soltanto al terzo giorno di viaggio raggiunsero i primi contrafforti della montagna nei cui recessi si aprivano le rinomate sale di Antrolucente.
La montagna si stagliava tra gli alberi di una folta abetaia che ne ricopriva buona parte delle pendici. Da lontano, la parte più elevata del picco, spoglia e rocciosa, rassomigliava ad un dito ricurvo che invitava a raggiungerlo attraverso un sentiero ben delineato che si staccava dalla strada principale sul fondovalle per arrampicarsi fino in vetta. Sul versante opposto a quello da cui si avvicinavano i compagni, invece, si distendeva un lago dalle acque fredde e poco invitanti intorno al quale anche la stessa vegetazione sembrava ritrarsi.
In tempi passati, i nani avevano scavato in profondità la montagna per costruire la fucina di Durgeddin il Fabbro, mitico forgiatore di armi ancor più leggendarie. In seguito erano arrivati gli orchi che avevano sterminato i nani, mito compreso, e ne avevano devastato la dimora per poi insediarvisi ed usarla come base per compiere scorrerie nella regione. La posizione e le difese della roccaforte avevano finora scoraggiato qualsiasi tentativo di snidare gli orchi ad opera dei villaggi vicini, tuttavia si attendevano con speranza uno o più aspiranti liberatori, che non costassero troppo, da ingaggiare allo scopo. Quello che nessuno ancora sapeva, e che invece avrebbe potuto fare alzare considerevolmente il prezzo della prestazione, era che gli orchi non erano i soli abitanti di Antrolucente. I livelli inferiori, infatti, un tempo adibiti a laboratorio di Durgeddin, erano oggi popolati da un clan di duergar, nani malvagi alleati degli orchi, interessati a carpire i segreti del grande fabbro, mentre nelle propaggini sotterranee del lago, su un’isola che affiorava dalle acque, si era di recente stabilito Krisalyx, un giovane e rampante drago nero che ambiva ad incrementare il suo già cospicuo tesoro.
“L’avessimo saputo prima”, constatò amaramente alla fine dell’avventura un malconcio Tibidi “avremmo chiesto almeno il doppio”. E, con lo sguardo rivolto alle salme di Pfoffo e Ayra, eroicamente caduti affrontando il capo degli orchi, e ai corpi senza vita e parzialmente corrosi dall’acido di Tzortzz e Def Hunter, uccisi dal drago, tristemente valutò:
“Adesso chi gliele paga le spese di resurrezione?”
“Le tratterremo dalla loro parte di tesoro ovviamente”, rispose pratico Raba. “Il vero problema è un altro”, aggiunse. “Come facciamo a riportarli indietro?”
“Potremmo prima pietrificarli con l’incantesimo trasforma carne in pietra e quindi trasformarli in pratici e leggeri lingotti usando trasforma pietra in fango”, suggerì Tibidi sfogliando un tomo voluminoso. “Mi basta trovare trasforma fango in carne ed il gioco è fatto”.