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Capitolo II

Fu allora che i miei compagni notarono uno strano vecchietto in odore di santità sbucare convenientemente in tutta sicurezza da una vicina foresta che fino ad allora nessuno aveva notato.
Bergstein in preda ad una crisi mistica a tale visione, gettò tutti i propri indumenti a terra urlando “Ho visto la luce!!” e si gettò ai piedi del vecchio che ne rimase piuttosto disgustato. Borbottò quindi una via di mezzo tra un ringraziamento per aver salvato la terra (o quello che ne rimaneva) e una ramanzina per aver perso un sacco di tempo a dormire e a farsi i fatti propri (anche se il termine esatto fu diverso) mentre il Tarrasque devastava il mondo conosciuto e anche parte di quello sconosciuto. Paladine, perché proprio di lui si trattava, si accinse quindi ad invocare se stesso per il sospirato rito di resurrezione dei poveri caduti, ma spuntò fuori una donna equivoca quanto stupenda (e decisamente seminuda), che ci tentò con una strana proposta: farsi resuscitare da lei. Ishan fu molto gentile e le spiegò con qualche giro di parole che con lei avremmo preferito farci altre cose che non riti di resurrezione (tra l’altro con tragiche incognite sul tipo di non-vita che ci avrebbe aspettato dopo una resurrezione di tale risma). Ella se ne andò quindi furiosa, e capimmo di esserci fatti (in senso lato) una nuova e terribile nemica, anche se nessuno ne capiva a pieno il perché.Paladine riuscì infine a farci tornare in vita e tanto per non perdere tempo ci assegnò subito una nuova missione: ritrovare un magico libro che si scrive da solo e che contiene tutta la storia passata e presente (meraviglia!). Chiunque riesca a distruggere una pagina del libro cancellerà dalla storia tutti gli avvenimenti ivi descritti (raccapriccio!). Tralascio di nuovo le considerazioni su divinità che si fanno sfuggire terribili mostri semi-divini, perdono libri di immane potenza e lasciano l’incombenza di risolvere il tutto a un gruppo di sparuti mortali. Soprattutto dopo aver saputo l’ignobile punizione (frusta e ceppi) che Paladine, il più buono e giusto degli dèi, ha inflitto alla divinità incaricata di sorvegliare il fantastico tomo.
entre ci preparavamo a intraprendere il nuovo viaggio, capimmo che Bergstein, completamente nudo e privo di senno, non ci avrebbe seguito. Paladine lo abbracciò teneramente (pur mantenendo un dignitoso distacco) e lo condusse nel suo regno dell’aldilà. Osservammo a lungo il luogo dove era scomparso il nostro silenzioso amico, quando alle nostre spalle giunse un altro tizio, seminudo anche lui:
“Salve, sono un chierico e sono sopravvissuto alla devastazione del Tarrasque”, con tranquillità cominciò ad equipaggiarsi con quanto appena abbandonato, quindi si dichiarò pronto a partire con la nostra allibita compagnia. In lontananza udimmo chiaramente un tuono.
Ma non era destino che le nostre strade si incrociassero in quel momento. Fummo improvvisamente teletrasportati in una strana pianura, resa ancora più strana dalla presenza di un’unica grande collina quasi per intero coperta da una foresta. Una stranezza da niente se confrontata con il fatto che la gente del posto, nonostante tutto, si ostinava e si ostina ancora a chiamare il luogo “pianura”. Scoprimmo un unico sentiero e con una certa perspicacia decidemmo di percorrerlo. Sarebbe stata una salita tutto sommato tranquilla se ad un certo punto non avessimo incontrato due strani goblin che ci hanno bellamente ignorato. Combattuti tra una certa sete di sangue orchesco a basso costo e la curiosità, abbiamo seguito i due esseri fino ad una caverna. Lì il coraggio ha preso il sopravvento (altrove) e dopo una lunga discussione decisi di entrare in esplorazione. La scena che mi si parò davanti fu davvero strampalata. Strani carri coperti formavano un cerchio al centro di un’ampia grotta. Intorno numerosi Giganti danzavano e cantavano beati.
Ma la cosa che mi colpì di più fu la musica, prodotta da strani strumenti a forma di chitarra e decorati da un’unica corda. Questi potevano raggiungere infinite tonalità della stessa nota, dato che i Giganti, li utilizzavano come strumenti a percussione. Ma le mie abilità di ladro a quel punto mi tradirono, tanto per cambiare, o forse la mia perplessità fu tale da far rumore, e fui scoperto, solo per essere invitato ad unirmi ai festeggiamenti. Cercai di mostrarmi cortese (fosse stato solo per la quantità industriale di giganti presenti) e cominciai a tentare di distrarli con semplici giochi di acrobazia. Fortunatamente giunse in mio soccorso Bagamar e poi gli altri e riuscimmo a scambiare due parole con quei singolari individui.
Si presentarono come un gruppo di girovaghi “I Gitanti delle Colline” e ci spiegarono che tempo fa un loro compagno era stato ucciso da uno strano mostro a forma di scorpione. Ci guardammo seri, per niente invogliati a vendicare tal barbara morte e dopo poco trovammo una scusa per andarcene.
Riuscimmo a percorrere solo pochi passi, prima di udire chiaramente il tipico suono di passi che ci seguivano. Uno strano scorpione zoppo arrancava nella foresta circostante. Lo scansammo senza troppa difficoltà e giungemmo infine in cima al colle, dove ci attendevano i resti di un santuario stile Stonehenge.
Non esiste santuario senza un sotterraneo e anche questo non volle essere da meno. Un’invitante apertura si apriva sotto uno dei giganteschi macigni: ci fiondammo all’interno senza esitare.
Quello che poi ci fece esitare un po’ di più fu una sorta di trappola magica posta all’ingresso dell’apertura. Purtroppo attivata. Fu così che tutti i miei oggetti magici persero i loro poteri, per non parlare di quelli di Duncan e sottolineo quest’ultimo, poiché la prodigiosa cintura della forza lo lasciò improvvisamente in balia di svariate decine di chilogrammi di equipaggiamento. Fummo abbastanza fortunati perché il cattivo chierico riuscì a mantenere una sorta di equilibrio e a non rovinarci addosso. Nonostante l’evidente difficoltà Duncan rifiutò ogni forma di aiuto ostinandosi a trascinare tutti i propri possedimenti con una esasperante lentezza. Non ci facemmo pregare più di tanto, compito che tra l’altro spetta ai sacerdoti, e continuammo a scendere le ripide scale senza di lui. Al termine trovammo una stanza con delle porte attaccate alle pareti (e questa era già una strana cosa), ma ancora di più ci colpì una fossa coperta da una grata da cui udivamo provenire sinistri lamenti (ed occasionalmente una parvenza di rumore di temporale in lontananza).Mi calai all’interno per scoprirvi quello strano chierico che aveva saccheggiato i beni del buon Bergstein. Come fosse finito in quel luogo forse lo descriverò in un’altra storia (caso mai mi capitasse di venirlo a sapere…), fatto sta che egli, grato di essere stato salvato, mi ringraziò e si presentò come tal Behrn Hack, sacerdote dedito al culto di una certa divinità del tempo atmosferico.
Impressionato soprattutto dalla sua capacità di prevedere il tempo nei prossimi giorni, lo condussi fuori dalla prigione, certo che tali abilità andavano poste al servizio del gruppo. Questo non prima di aver setacciato i miseri resti di un altro sfortunato prigioniero, scoprendolo pastore letterato che, oltre a pascolare, teneva un diario dove annotava il fatto di essere un pastore e di pascolare (uhm…curioso). Una scoperta che mi colpì soprattutto per l’eterogeneità dei prigionieri posti in questo luogo. Assieme al nuovo compagno continuammo l’esplorazione dello strano sotterraneo. Ci allarmò molto il fatto di scoprire che il sistema di illuminazione del luogo era essenzialmente composto da resti di ragnatela luminescenti, ma ancora più allarmanti erano i rumori che si udivano costantemente in sottofondo, come di migliaia di zampette di insetti. Avevamo i nervi a fior di pelle, tanto che, quando esplorai l’ennesima stanza piena di ragnatele e comunicai che c’era un’ombra, Valtor non trovò di meglio da fare che lanciare il suo incantesimo preferito: La Palla di Fuoco. Dopo questa epurazione procedemmo ad esplorare quanto rimaneva del luogo (qualche pezzetto di ragnatele bruciata), per non trovarvi, chissà perché, un bel niente.
Oramai eravamo pronti a tutto e non ci sorprese particolarmente l’incontro di poco dopo con alcuni esseri umanoidi perfettamente normali, non fosse stato per il numero altamente variabile di arti (numero che, scoprimmo dopo, era tanto più alto quanto più alta la posizione sociale dell’individuo, cosa che scoraggiava sul nascere i tipi ambiziosi, ma meno “dotati” e procurava un sacco di lavoro a chirurghi specialisti nell’impianto di protesi). Essendo noi dotati di due sole braccia e qualcuno di due sole gambe, fu già qualcosa se gli individui ci condussero dai loro capi. Questi ci raccontarono le ostilità con le creature da loro denominate “RaGni” (però con la “gn” dura, da non confondere con i nostri comuni aracnoidi) ed altre belle storie di folclore locale (tra cui la già citata storia degli arti).
Venimmo dunque a conoscenza di una strana città posta molto più in basso. I nostri nuovi amici erano membri di una sorta di opposizione politica e chiesero il nostro aiuto. Fummo felici di fornire le nostre immense capacità, fosse solo per il fatto che il libro che stavamo cercando si trovava, guarda caso, proprio nella suddetta città. Del tutto secondario invece il fatto che ogni altra porta esplorata presentasse preoccupanti trappole a base di veleno potenzialmente letale.
La discesa fu estremamente breve. Fummo ricevuti da un ciambellano della città che passava la propria vita ad attendere la venuta di una, a suo dire, potentissima divinità. Duncan e Behrn Hack si guardarono confusi, visto che tale nuova divinità non risultava nel pantheon di loro conoscenza. Ishan decise di non perdere troppo tempo e lanciò un incantesimo di charme al povero ciambellano… e ci mettemmo in attesa davanti ad una strana porta scura e lucida che, si diceva, veniva periodicamente attraversata dalla divinità. Questa non si fece attendere e dopo aver dato una discreta ramanzina all’incolpevole ciambellano, disgraziatamente uccidendolo nel processo, cominciò a trasformarsi in un enorme ragno con il probabile intento di attaccarci.
Casualmente mi trovai alle spalle della mostruosa creatura, cosa che mi avrebbe sicuramente avvantaggiato in un futuro attacco a sorpresa, ma che mi costrinse nel frattempo a scansare tutti gli attacchi più o meno magici dei miei compagni. Finalmente riuscii a mettere a segno un discreto colpo (forse il primo da lungo tempo), ma non stetti a festeggiare troppo. Con la coda dell’occhio notai che i maghi stavano iniziando a lanciare i loro più potenti incantesimi (tra cui l’inflazionata Palla di Fuoco), incuranti e probabilmente consci del fatto che il loro ladro si trovasse lungo la traiettoria, e mi lanciai in una folle corsa verso l’uscita, passando sotto le zampe dell’immonda creatura. Riuscii a rifugiarmi lungo una vicina rampa di scale, dove raggiunsi un affannato Duncan che aveva iniziato a ritirarsi da una buona mezzora, trascinando penosamente tutti i suoi beni. Ogni bravo avventuriero sa, infatti, che le divinità malvagie odiano la gente che le aspetta fuori dalla porta di casa per ucciderle, quindi di solito, quando decidono di uscire sono piuttosto incavolate. Ne consegue che, date le basse probabilità di sopravvivere ad una potenziale divinità infuriata, è preferibile ritirarsi il più lontano possibile da suddetta porta.
Ma mentre eravamo persi in tali filosofiche considerazioni e contro ogni aspettativa e speranza, i miei compagni riuscirono a sconfiggere l’immonda creatura. Il governo della città si trovò improvvisamente privo di un leader degno di tale nome e i nostri amici dell’opposizione presero il comando. Ma la nostra missione era lungi dall’essere compiuta. Il fatto di aver ritrovato finalmente il libro non ci aveva assolutamente sollevato dal compito (che peraltro nessuno ci aveva preventivamente indicato) di rimettere le cose a posto. Ci imbarcammo quindi in un’assurda avventura all’interno di uno strampalatissimo dungeon dove le più elementari leggi della geometria erano andate allegramente a farsi benedire. Tutto questo per scoprire che solo compiendo un eroico gesto di estremo sacrificio avremmo potuto rimettere le cose a posto, come erano prima dell’avvento del Tarrasque. Vi era, infatti, custodita la testa del dio del tempo (non quello atmosferico per disgrazia del nostro nuovo compagno sacerdote) che aveva il potere di far riportare rapidamente indietro nel tempo chiunque la toccava, fino a farlo scomparire e, attraverso arcani meandri di universi paralleli e magagne simili, fare in modo che non fosse mai esistito. Tutto questo naturalmente non lo sapevamo al momento in cui ci trovammo di fronte all’immane scultura che tra l’altro aveva delle fattezze curiosamente note. L’unica cosa che osservammo fu un mucchietto di cenere di fronte alla statua e il fatto che l’elementale della terra, oramai carne da cannone “ad honorem” per i compiti più pericolosi, era scomparso dopo poco tempo che aveva osato trasportare l’artefatto. Mi assunsi quindi coraggiosamente il compito di completare l’opera dello sfortunato essere, e portai la testa in una strana stanza dove, avevamo scoperto, che avrebbe dovuto essere sigillata. L’impresa mi costò un po’ di fiatone e l’improvviso ritorno ad una nuova pubertà (19 anni per un elfo sono veramente pochi!). Duncan lanciò fiero l’incantesimo per creare un impenetrabile muro di ferro, e fece attentamente calcoli su calcoli per far sì che ogni millimetro di ingresso a quella stanza maledetta fosse sigillato. Dopo lungo tempo ci allontanammo vittoriosi verso una terra che però era rimasta tale e quale come l’avevamo lasciata (devastazioni del Tarrasque incluse), eravamo felici e fu solo dopo qualche ora di viaggio che Duncan borbottò dubbioso: “Ma l’incantesimo del Muro di Ferro sarà permanente?”

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