Vai al contenuto

Capitolo I

Gesta e avventure di una banda di avventurieri in
cerca di fama e (soprattutto) denaro.

A cura di Legolas Greenleaf
Tutti i diritti riservati, che la maledizione del Tarrasque colpisca chiunque osi duplicare od
alterare il presente tomo senza il permesso del sottoscritto.

Permettete che mi presenti. Mi chiamo Legolas, Legolas Greenleaf. E nonostante una clamorosa assonanza fonetica, non ho nulla a che vedere con quel principe elfico di una dimensione parallela costantemente dedita alla ricerca e distruzione di anelli. Sono invece un ladro, passo le mie giornate a scovare trappole, ascoltare i rumori e a muovermi in silenzio. Tutto sommato una bella noia. Quello mezzo addormentato laggiù in fondo è Bergstein, il chierico, assieme all’ancora più silenzioso Bagamar. Tendono a destarsi quando si prospettano furiosi combattimenti, per il resto sonnecchiano. Dall’altra parte c’è quel mago pervertito a nome Valtor, uno che ha visto cambiare la propria vita da quando ha scoperto un set di strani bastoni e non ne ha capito l’utilizzo. Credo li stia ancora studiando, ma da allora nessuno della compagnia osa più chinarsi in sua presenza. Accanto a lui vigila Ishan, il nostro guerriero pentito, dedito alla magia con la stessa passione con cui qualche tempo fa polverizzava gli avversari a suon di spadate.
Recentemente ha scoperto una buona lama che oltre ad essere magica è pure intelligente e dotata del dono della parola. Da allora Ishan passa le sue giornate in amene conversazioni con l’arma. Da qualche parte dovrebbe anche trovarsi Duncan il malvagio, un sacerdote dedito ad oscure trame per la dominazione totale del mondo conosciuto, ma che per ora ci accompagna, anche se nessuno sa il perché. E’ talmente cattivo che la sua divinità ha dovuto incattivirsi ancora di più. Una particolarità: viaggiamo essenzialmente a piedi e quando abbiamo i cavalli li sorvegliamo a vista. Nel nostro mondo queste povere creature hanno una spettanza di vita drammaticamente bassa.

Dunque, la storia. Eravamo in quello strano sotterraneo, fuggendo a destra e a manca, al solito, al minimo accenno di una qualche attività ostile. E c’era quel mago cattivo… beh, a dire il vero non abbiamo mai saputo se era veramente cattivo, dato che è deceduto di morte violenta dopo poco.
Assieme a lui un apprendista, che si è rivelato essere fratello di Ishan, e quello strano set di bastoni.

Tutto qui.

Polverizzati maghi, trolls e affini siamo usciti, con quell’impellente desiderio di riposare che ci colpisce regolarmente ogni volta che terminiamo un’avventura. Tutto questo per niente turbati dal fatto che i troll di cui sopra avessero tre braccia, l’intero sotterraneo fosse riempito di strane creature tentacolari e che il luogo dove avevamo trovato quegli strani bastoni contenesse, tra l’altro, un altrettanto strano libro che parlava di qualcosa tipo dimensioni parallele, nonché una sorta di cerchio luminoso. Valtor tentò disperati ed inconcludenti esperimenti con i bastoni. Esperimenti che coinvolgevano magia, forza ed il fondoschiena del fratello di Ishan, superstite pentito della recente battaglia. Il misero fu lasciato dopo poco alla vicina Torre di Magia, dove apprendemmo dell’improvvisa comparsa di una creatura semi-divina fatta di pura malvagità.
Appurato che Duncan era sempre con noi, capimmo che questo nuovo pericolo aveva un altro nome: “Tarrasque”. Ci mettemmo subito sulle sue tracce, tra l’altro facilissime da seguire dato che lasciava una discreta scia di morte e distruzione lungo il suo cammino. Bastava, in effetti, seguire al contrario le colonne di profughi in fuga. A questo punto qualcuno di noi avanzò l’idea che forse stavolta la faccenda era veramente pericolosa. Tesi avvalorata dall’incontro con qualche misterioso tipo che pretendeva di restare in incognito, ma la cui origine soprannaturale poteva essere avvertita da un ateo a chilometri di distanza.
Venne spontaneo domandarsi, tra l’altro, perché i soprannaturali le guerre non se le fanno da soli e non lasciano in pace i poveri avventurieri che vogliono solo arricchirsi a spese del prossimo orchetto, possibilmente già un po’ malandato. E’ anche vero che domande come queste non vanno fatte alla divinità, pena il repentino passaggio ad un altro piano astrale. Quindi meglio affrontare il pericolo che ritrovarsi senza un mondo dove nascondersi e quindi decidemmo di proseguire. Giungemmo infine dopo pochi giorni ad una ridente cittadella fortificata, che smise immediatamente di ridere quando comunicammo con tatto e maestria che il mostro era in arrivo, era sempre più incavolato e nessuno sapeva come fare a fermarlo. Non si sa come ma riuscimmo ad organizzare una disperata nonché eroica difesa.

Fummo letteralmente travolti, nonostante le filippiche di incoraggiamento che Duncan indirizzava alle truppe mentre indietreggiava al sicuro. E nonostante quel gruppetto di arcieri da me comandato che rimase sulle mura fino alla fine (degli altri soldati, io raggiunsi il resto del gruppo dopo un paio di lanci). Fuggimmo precipitosamente per ricongiungerci dopo poco con i maghi che nel frattempo avevano fatto una scoperta fantastica: qualunque cosa potesse distruggere quell’essere era conservata in una torre abbandonata e dimenticata, di cui però si conosceva esattamente la posizione. Vi giungemmo dopo un breve viaggio, passando per vie misteriose e nascoste, per finire accolti da un orda di strani lupi e da un essere immondo che si levò volando minaccioso verso di noi.
Fu una lunga ed intensa battaglia. Anche perché i lupi avevano da tempo preso la pessima abitudine di rialzarsi una volta uccisi. Tremendo. Ma ne uscimmo vittoriosi. Fu allora che scoprimmo, grazie ad un incantesimo, la tomba di un mago. Il cadavere putrefatto era sempre lì e stringeva tra le mani un libro dall’arcano titolo “Come diventare un Lich”. Ebbi la geniale intuizione di aprire il libro per dargli un’occhiata. E sono sicuro che furono gli improperi dei miei compagni (mai alterarsi in presenza dei deceduti) a risvegliare lo spettro che per poco non mi mostrava cortesemente, ma in un momento a dir poco prematuro la via più breve per l’aldilà. Fu anche la prima volta che il ciondolo portato al collo dal nostro buon chierico mostrò una parvenza di orgoglio, brillando nell’oscurità e scacciando il vile non-morto senza battere ciglio.
Finalmente giungemmo davanti alla porta della torre. Mai attraversamento di un cortile ci era costato tanto. C’era quella stanza enorme sorvegliata da due strane statue. Attraversarla costò la sanità mentale di Valtor, Ishan e Bagamar. Parlare di sanità mentale, per la media del gruppo, è una parola grossa, ma scoprii che non c’è limite alla demenza. Valtor riuscì a fuggire di nuovo all’esterno, bloccato solo dall’insana voglia di trovare uno spazio per i suoi preziosi bastoni nel didietro delle statue. Ishan e Bagamar furono impacchettati e tenuti al sicuro. Nel frattempo decidemmo pure di aprire l’altra porta.
Mai bolgia infernale fu più affollata di quella piccola stanzetta che ci si parò davanti. Quindici creature immonde erano stipate in attesa da chissà quanto tempo in un angusto spazio, ridotto peraltro da una curiosa scala a chiocciola. Va da se la conclusione che qualsiasi creatura malvagia stipata da tempo indeterminato in uno spazio ristretto, per quanto non-morta, tenda ad incattivirsi ancora di più. La battaglia che ne seguì fu, curiosamente, molto breve. La vista dell’oramai galvanizzato simbolo-sacro terrorizzò buona parte delle creature che, trovatesi improvvisamente nell’impossibilità di fuggire, o anche semplicemente di muoversi, finì con lo stamparsi contro la parete opposta della stanza. I pochi rimanenti furono velocemente eliminati.
A quel punto commisi uno dei più gravi errori della mia vita, dopo quello di essermi unito a questo gruppo. Esasperato da una serie di vani tentativi per convincere il mago ad avvicinarsi al resto del gruppo, non trovai niente di meglio da fare che calarmi le brache e dileggiarlo con fare provocatorio. Da allora ho trovato un altro significato alla frase “immolarsi per gli altri”. Eravamo a quel punto tutti doloranti, desiderosi di recuperare quel poco di intelligenza pro-capite spettante e sostanzialmente sfiniti, ma il pericolo incombeva e dovevamo agire con urgenza.
Il mattino successivo, dopo una sana dormita, decidemmo quindi urgentemente di salire le scale a chiocciola, non prima di una lunga discussione sull’eventualità di riposare ancora un altro intero giorno. Mentre discutevamo Duncan dette la sua quotidiana dimostrazione di forza prodigiosa, magica ma comunque prodigiosa, scaraventando a mani nude i resti dei non-morti al di fuori della torre. Al piano superiore ci aspettava una scena di totale disordine. I resti di quello che un tempo forse era il laboratorio di un mago. Tra le macerie ritrovammo una serie di pozioni che ci aiutarono a far recuperare la poca sanità mentale dei nostri compagni di sventura. Inutile sottolineare che Valtor si riprese misteriosamente con un forte dolore al fondoschiena. Il fatto che la torre fosse circolare, ma che la stanza all’ultimo piano non lo fosse, ci indusse a sospettare la presenza di una porta segreta da qualche parte. La trovai. All’interno una strana pedana sorvegliata da teschi fiammeggianti. Coraggiosamente decidemmo di richiudere la porta e di consultarci sul da farsi. Infine mandammo in avanguardia un basito elementale del fuoco evocato da Ishan, assieme a Duncan eroicamente protetto da stuoli di incantesimi. Dall’esterno, dove attesi annoiato assieme agli altri, vidi uscire fiamme, fuoco e fulmini. Infine fu tutto silenzio. Ci recammo cauti a vedere quello che era successo. La piccola stanza era completamente annerita, colonne di fumo si alzavano dalla pedana, al centro Duncan respirava ancora, del tapino elementale nessuna traccia, il volto di Ishan fu rigato da una lacrimuccia.
Logica vuole che qualsiasi cosa sorvegliata così strenuamente da strani mostri, debba avere una certa importanza. Esaminammo quindi con attenzione la pedana, per scoprire solo una scritta in rilievo “Wazor”. Era il nome del nostro acerrimo nemico! (da non confondere con il suo cugino partenopeo “Uà Zor”, mago commerciante di babà). Una pedana invita solo a salirci sopra, quindi provammo a farlo, saltandoci, sdraiandoci, premendo tutte le singole lettere dell’iscrizione… Finché non pronunciai il nome del nemico. ZAP! Ci trovammo in un’ampia stanza, dalle pareti allegramente decorate da statue di demoni. Non volevamo rimanere lì per sempre, quindi cominciammo a studiare il metodo di tornare indietro. Finché non mi venne una nuova illuminazione e urlai “Rozaw!” ZAP! Ci ritrovammo nella torre. Felici della scoperta decidemmo di ritornare nella stanza a caccia di nuove avventure “Wazor!” ZAP! Ci accingemmo a esplorare
la stanza, ma improvvisamente ZAP! di nuovo e poi ancora ZAP! e ZAP! e ZAP! Fummo teletrasportati avanti ed indietro per una decina di volte prima che decidessimo di zittire Duncan che stava spiegando a Bagamar, precedentemente distratto, il funzionamento della pedana.
Improvvisamente udii chiaramente un rumore di passi. Con certezza capii che i misteriosi (e potenzialmente cattivi) esseri stavano giungendo da una porta posta a nord. Ci preparammo per un’imboscata nascondendoci ai lati dell’ingresso. Fu quindi comprensibile la sorpresa che provarono i due maghi e la dozzina di guerrieri non-morti, tranquillamente spuntati dalla porta a sud, trovandosi davanti un gruppo di avventurieri in assetto da guerra, ma rivolti dalla parte sbagliata.
L’incredibile battaglia che ne seguì scosse molti di noi, o meglio, ci scosse un potente incantesimo di “paura” lanciato da uno dei maghi. Il terrore che mi prese fu tale che preferii nascondermi rannicchiato dietro una di quelle terribili statue di demoni che continuare a fronteggiare quegli avversari. Ma questi non avevano ancora fatto i conti con un simbolo sacro sorto a nuova vita. I non-morti fuggirono e i due maghi furono ben presto spacciati. Incoraggiati dalle perle di saggezza del chierico “dal luogo dove vengono dei nemici, difficilmente ce ne saranno altri”, imboccammo la porta da dove erano spuntati i nostri avversari.
Ci ritrovammo davanti ad una immonda creatura di metallo, ragniforme, alla sua “guida” uno gnomo, forse l’unico gnomo cattivo del mondo in cui ci troviamo. Ishan lanciò uno dei suoi più potenti incantesimi, il fulmine magico, che oltre ad abbrustolire una fila di non-morti spiaccicati contro la parete opposta, ebbe poco effetto. Decidemmo quindi di aggirare la creatura per attaccarla alle spalle, non prima di aver detto a Bagamar di distrarla. Ishan, non si sa come decise di tenere la posizione. Fu così che quando Valtor finalmente si trovò in posizione per lanciare una palla di fuoco, il mostro aveva già colpito i due coraggiosi
eroi sputando un getto acido, ma mentre Bagamar fu in grado di mettersi in salvo, Ishan fu preso in pieno, ritrovandosi praticamente nudo e senza armi davanti a quello che sembrava in tutto e per tutto un cannone spara-acido.
Valtor fortunatamente fu più veloce, e il mostro metallico si fermò in una posizione innaturale, fumante.
Gli zombie in fuga ridotti a vaghe ombre sulle pareti. Decisi di salire, incuriosito, sulla strana macchina. Con me Duncan che, mentre tentavo di trovare un modo per entrare, decise di polverizzare con un’asta la delicata calotta in plexiglas. Lo gnomo, riverso sui comandi era ancora vivo, seppur in stato comatoso, e forse capace di darci qualche informazione. Fu legato strettamente e gettato fuori dalla cabina. Al di sotto gli altri cominciarono a spogliarlo e depredarlo. Sfortunatamente l’armatura che aveva indosso, pur essendo di un materiale sconosciuto, non era di una misura adatta a nessuno di noi.
Continuammo brevemente l’esplorazione per finire attaccati dopo poco da un esiguo numero di teneri gattini (che naturalmente, si erano trasformati in orrendi mostri, dopo che qualcuno aveva tentato di rubargli la pallina con la quale stavano giocando e che probabilmente aveva qualcosa a che fare con una strana serratura sferica lì vicino). I felini quando si arrabbiano sono di una ferocità incredibile e subimmo molti danni prima di sconfiggerli. Stanchi e feriti decidemmo di ritirarci e riprendemmo il teletrasporto.
Dormimmo a lungo e una volta ristorati decidemmo di ritentare l’esplorazione dello strano luogo, ma il teletrasporto non funzionava più e si udivano da lontano dei minacciosi quanto pesanti passi. Fummo piuttosto contrariati all’idea che il Tarrasque non ci avesse dato il consueto tempo di trovare un’arma adatta a sconfiggerlo e decidemmo quindi, piuttosto inconsciamente, di affrontarlo in campo aperto. Ishan cominciò a volteggiargli intorno a mo’ di supereroe pungendolo continuamente con la propria lama magica, mentre io ebbi l’infelice idea di teletrasportarmi sul cranio del mostro nel vano tentativo di colpirlo in un punto vitale. Caddi e finii per essere masticato dalla creatura, vicino a me il corpo senza vita di Bagamar eroicamente caduto in combattimento, ma il Tarrasque aveva subito troppi danni anche per la sua natura semi-divina e fuggì.

Lascia un commento